La misericordia è la capacità che ha Dio di anticiparti, prima che tu decida di andargli incontro: la pecora perduta è raggiunta dal pastore, mentre è ancora lontana, a rischio di vita, e non sta tornando indietro all’ovile; il figlio prodigo invece ha deciso di tornare, ma il padre l’ha già perdonato in anticipo, lo abbraccia prima che apra la bocca per le scuse che aveva preparato; la moneta perduta è cercata dalla donna di casa mentre è perduta in qualche angolo della casa, in qualche fessura del pavimento, fra lo sporco. La dimensione temporale della misericordia di Dio è l’anticipo, un atteggiamento che mi previene, indipendente da me, a prescindere da me, non condizionato da me.
Ogni volta che pensiamo: se sono buono, allora Dio mi amerà… Oppure quando diciamo: se mi pento allora Dio mi perdonerà… Ogni volta che pensiamo questo, non siamo davanti al Dio di Gesù Cristo.
Chi ti ama davvero? Chi ti perdona la fuga da casa oppure chi ti viene a cercare, ti trova e poi, per alleggerirti la fatica, ti carica sulle sue spalle? Ti ama chi perdona cancellando il debito? Troppo poco. R. M. Rilke risponde con una espressione illuminante: ti ama davvero chi ti obbliga a diventare il meglio di ciò che puoi diventare. Amore vero guarda al tuo futuro, non è prigioniero del passato, apre sentieri, insegna respiri.
Vai e d’ora in avanti non peccare più. Sei parole nell’episodio della donna adultera, che bastano a cambiare una vita. La Misericordia è un atto creativo. Generativo, è un parto: vai e d’ora in avanti tutt’altra donna, tutt’altro amore. Tu puoi amare bene, amare molto. A questo appartieni. Nel vangelo il perdono è indicato con un verbo di movimento, vado da un luogo ad un altro: il verbo della nave che salpa, della carovana che si avvia, dell’uccello che spicca il volo, della freccia che scocca.
Perdonato, rimesso in cammino, mi muovo, esco da prigioni, dai miei ergastoli interiori, dai lacci dei sensi di colpa, dai pesi che mi tiro dietro per anni, esco dalla nicchia, dalla cavità, dal buco dove credo di vivere e non vivo. Libero.
La misericordia che libera è una forza mite e possente che rimette la mia barca sul filo della corrente, che fa ripartire la carovana al levar del sole; non un colpo di spugna sul passato, ma un colpo di vento verso il futuro, che insegna respiri, apre sentieri. E libera.
Il sacramento dovrebbe celebrare il perdono come un atto creativo, rivolto al mio domani; trasmettere la misericordia come un atto generativo, una nascita, un ricominciamento, dove non conta più nulla ciò che è stato. Dove, come per l’adultera, non si celebra il pentimento… I padri del deserto dicevano: non appesantirti del tuo peccato di ieri, neppure con la scusa di fare penitenza, perché saresti sempre lì a mettere al centro te stesso. E non il perdono.
Va e d’ora in poi… Ciò che sta dietro non importa più, importa il tuo futuro. Il bene possibile domani vale più del male di ieri. La luce è più importante del buio, una spiga di buon grano conta più di tutta la zizzania del campo…
Ermes Ronchi alla Settimana liturgica di Gubbio 2016